Non devi uscire dalla stanza. Resta seduto e ascolta. Non ascoltare nemmeno, aspetta e basta. Anzi non aspettare, resta tranquillo e da solo. Il mondo si offrirà spontaneamente a te per essere smascherato. Non ha scelta. Si stenderà ai tuoi piedi in estasi.

Franz Kafka

Prendere una decisione?
La cosa più facile del mondo, in fondo si tratta di qualcosa che vogliamo fare… oppure no?
Quante volte ci siamo posti questa domanda:
… e ora… che cosa faccio?
Il mondo si ferma per un momento, in attesa che noi decidiamo, una sottile ansia ci assale, la mente costruisce storyboard fantasiosi senza sosta che consultiamo e in apnea cerchiamo l’ultimo frame, l’epilogo dove troveremo… continua…
Per mia esperienza, ho suddiviso il genere umano in decisionista e eterno indeciso.
La differenza di approccio è questa:
L’eterno indeciso si lascia bloccare dal pensiero che ogni decisione che sta per prendere è importante, anzi vitale e vorrebbe conoscere in anticipo il finale… cosa accadrà? Andrà bene? È la scelta giusta?
La sua mente si popola delle peggiori conclusioni… chiede consigli ad amici e parenti senza rendersi conto che qualsiasi consiglio riguarderà inevitabilmente il suo interlocutore…
Il decisionista pensa invece di non sbagliare in nessun caso, perché considera che, data la gamma d’informazioni e possibilità di cui dispone in quel momento, la scelta che farà sarà la migliore; una chiarezza mentale che gli permette di distinguere l’oggettività dalla soggettività della situazione.
Michael Neil in “Supercoach” suggerisce:
“Quello che decidi non impatterà mai sulla tua vita, più di quanto non lo faccia il modo in cui gestirai le conseguenze di quella decisione.”

In altre parole, scegliere un uomo sbagliato è un errore, sposarlo sarebbe una cattiva decisione.

Secondo John La Valle (supercoach) quello che ci fa prendere buone decisioni è la chiarezza mentale che deriva da buone sensazioni fisiche. Quando sei lucido, in genere sai cosa fare o comunque sei in grado di individuare la reale importanza della decisione da prendere. Mentre, quando sei di cattivo umore, passerai molto tempo a immaginare conseguenze negative che probabilmente ti ostacoleranno.
Che cosa si può fare per modificare un atteggiamento come questo? Per alleggerire la situazione, continua La Valle, basta riconoscere che si potrà cambiare idea a prescindere dalla decisione presa.
Il nostro corpo è in grado di aiutarci a prendere buone decisioni, basta saperlo e volerlo ascoltare.
A me è capitato che, al pensiero di fare qualcosa lo stomaco abbia avuto un sussulto, la muscolatura si sia irrigidita, un ginocchio non si sia piegato adeguatamente… in altre occasioni che il cuore non avesse più spazio a disposizione, tanto si era espanso e… le sensazioni che proviamo ci diranno tutto quello che dobbiamo sapere.
Proviamo ad andare oltre… e per farlo è essenziale scoprire il significato di questi due vocaboli
confabulazione e “satisficing”.
 
Confabulazione: riempire i vuoti di memoria di un individuo con invenzioni ritenute reali; in altre parole significa creare ad arte, ragioni che sembrano convincenti a conferma di decisioni e azioni spesso del tutto irrazionali. Ma… quando confabuliamo (inventiamo) ottime ragioni in base alle quali giustifichiamo un comportamento, ci stiamo predisponendo a una caduta. Le decisioni che prendiamo, le azioni che intraprendiamo e i relativi stati d’animo, spesso sono basate su poco più che una reazione inconscia, innescata da uno stimolo passato inosservato.
Jonathan Haidt in “Felicità: un’ipotesi. Verità moderne e saggezza antica”, cita:
“… l’influenza di parole correlate agli anziani rallenta le persone;

le parole correlate ai professori rendono le persone più brillanti al gioco di Trivial Pursuit
e quelle correlate alle tifoserie estreme del calcio le rendono stupide.
Eppure, se interrogate, le persone spiegheranno questi cambiamenti con argomentazioni dall’apparenza molto razionale, come cammino più lentamente perché oggi sono stanco, oppure ho giocato così bene a Trivial Pursuit perché ho pescato domande facili”.
Il fatto è che siamo progettati in modo che sia la programmazione inconscia a guidare i nostri comportamenti. La razionalità subentra il più delle volte per giustificare le azioni che compiamo, piuttosto che per governare la macchina.
Tra l’altro è uno dei principi su cui si basano forme d’influenza e condizionamenti sociali presenti nella pubblicità, nelle tecniche di vendita, nel marketing…

Non ci fidiamo di noi stessi e “confabuliamo” una serie di “ottime motivazioni” per sostenere le nostre decisioni…
Proviamo a semplificare il tutto ponendoci una semplice domanda:
Voglio farlo?
La risposta più semplice potrebbe essere: Se sì, lo faccio… altrimenti no!
Una risposta a due vie, che nel caso di una decisione non è sufficiente!

Herbert A. Simon, scienziato della politica e premio Nobel, nel 1957 ha introdotto il termine “Satisficing” [all’interno della teoria delle decisioni si riferisce alla strategia di soddisfazione dei criteri di adeguatezza. Un neologismo composto dalle parole inglesi satisfy (soddisfazione) e suffice (sufficienza) – intraducibile in italiano (soddisfacienza)]: cioè compiere una scelta che corrisponda alle esigenze, senza necessariamente essere la soluzione migliore tra le scelte possibili.
Simon oppone la strategia del satisficing alla massimizzazione e alla ottimizzazione.
In che cosa consiste?


Massimizzazione: l’obiettivo è ottenere il maggiore vantaggio possibile. (es. vendita all’asta, al migliore offerente)

Ottimizzazione: l’obiettivo è il migliore affare tenendo conto di alcuni fattori critici e soppesando ciascun fattore in base alla sua importanza relativa. La valutazione terrà conto della combinazione migliore fra i fattori. (come un rapporto di quantità, qualità, prezzo),

Satisficing: in questo caso l’obiettivo è ottenere un affare sufficientemente buono. Utilizzando questa strategia, saranno stabiliti dei parametri e accettata la prima offerta che li soddisfa. (decisione che consente un evidente guadagno di tempo ed energia.)

Nel prossimo Post analizzeremo come il Voglio Farlo possa essere distinto in quattro tipologie di voleri: desideri, capricci, fantasie e “dovrei”.
Non è ciò che facciamo di tanto in tanto che conta, ma le nostre azioni costanti. E qual è il padre di qualsiasi azione? Che cosa, alla fine, determina ciò che diventiamo e dove andiamo nella vita? La risposta è: le nostre decisioni. Anthony Robbins, Passi da Gigante